Giubileo 2025: il dovere cristiano della speranza
Con il rito di apertura della Porta santa della basilica di San Pietro, officiato da Papa Francesco, è iniziato ufficialmente il 27° Giubileo ordinario della storia della Chiesa. L’evento proseguirà per tutto il 2025 e si concluderà nel giorno dell’Epifania del 2026. In tema di aperture – fatto inedito nella storia dei giubilei – questa volta il Santo Padre ha voluto attraversare una seconda Porta santa, quella della cappella nel carcere di Rebibbia, come segno di partecipazione alle sofferenze di un mondo in cui la stessa dignità umana trova molte occasioni di andare perduta.
Se l’ultimo giubileo era stato dedicato alla Misericordia, questo iniziato con l’apertura della Porta santa il 24 dicembre, ha come tema di riferimento la Speranza, secondo quanto espresso nella Bolla papale “Spes Non Confundit” (La speranza non delude), ispirata ad un passo della lettera ai Romani (Rm 5,5). In essa il Papa esorta a farsi guidare “dalla speranza che non tramonta, quella in Dio” pregando che essa possa guidare “a ritrovare la fiducia necessaria, nella Chiesa come nella società, nelle relazioni interpersonali, nei rapporti internazionali, nella promozione della dignità di ogni persona e nel rispetto del creato”.
Nel documento si sottolinea come “Guardare al futuro con speranza equivale anche ad avere una visione della vita carica di entusiasmo da trasmettere. Purtroppo, dobbiamo constatare con tristezza che in tante situazioni tale prospettiva viene a mancare”. Per questo si raccomanda di non lasciare in disparte le persone che vivono in condizioni di disagio. Come i detenuti che “privi della libertà, sperimentano ogni giorno, oltre alla durezza della reclusione, il vuoto affettivo, le restrizioni imposte e, in non pochi casi, la mancanza di rispetto“. O, come gli ammalati “che si trovano a casa o in ospedale. Le loro sofferenze possano trovare sollievo nella vicinanza di persone che li visitano e nell’affetto che ricevono“. O ancora, come gli immigrati a cui aprire con generosità le porte dell’accoglienza, “perché a nessuno venga mai a mancare la speranza di una vita migliore”.
Nella Bolla il Papa chiede inoltre di non dimenticare “quanti, trovandosi in condizioni di vita particolarmente faticose, sperimentano la propria debolezza, specialmente se affetti da patologie o disabilità che limitano molto l’autonomia personale. La cura per loro è un inno alla dignità umana, un canto di speranza che richiede la coralità della società intera“. Infatti, “le opere di misericordia – dice il Pontefice – sono anche opere di speranza, che risvegliano nei cuori sentimenti di gratitudine”.
È su tali premesse che Francesco ha aperto la porta santa in Vaticano, una porta che si spalanca e, innanzitutto, guarda ai segni di speranza presenti nel mondo contemporaneo. Ma che chiede di essere varcata per intraprendere un cammino con intenti di pace, fatti di gesti concreti e scelte forti improntate alla vita, come l’abolizione della pena di morte e il sostegno attivo verso i più vulnerabili. Un cammino di condivisione delle risorse in modo da contrastare la fame e favorire lo sviluppo globale, sviluppo che per i paesi poveri non può che cominciare con l’abolizione del debito, pesante fardello che impedisce qualsiasi ipotesi di crescita. E ciò non per magnanimità ma per giustizia. “Come insegna la Sacra Scrittura, la terra appartiene a Dio e noi tutti vi abitiamo come «forestieri e ospiti» (Lv 25,23). Se veramente vogliamo preparare nel mondo la via della pace, impegniamoci a rimediare alle cause remote delle ingiustizie, ripianiamo i debiti iniqui e insolvibili, saziamo gli affamati”.
Con l’indizione dell’anno santo, il Papa chiede un tempo di celebrazione e profonda riflessione, nel quale tutti sono invitati a riconoscere Cristo nella quotidianità e in questo riconoscimento tutti i credenti sono chiamati ad essere testimoni vivi di speranza e a collaborare per costruire un mondo più giusto e solidale.
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