Il Giorno della Memoria contro l’indifferenza dei nostri tempi
Il brusco aumento dei crimini dettati dall’odio razziale che si registra ormai da tempo, desta allarme sia in Europa che in America. La crisi che il mondo occidentale sta vivendo da molti anni con il dilagare dei disagi tra le popolazioni sta riproducendo, a distanza di cento anni, l’humus per il rigurgito di fenomeni di violenza sempre più preoccupante. La celebrazione del Giorno della Memoria, allora, se non vuole essere un esercizio di stile, sulla scorta della lezione di Auschwitz, trova il suo senso ulteriore solo se in grado finalmente di scuotere le coscienze, magari anche sulle tragedie di oggi.

Il dovere di ricordare perché quel che fu la Shoah e la persecuzione di altre minoranze non accada mai più. È questo, in definitiva, il senso della Giornata della Memoria istituita per onorare le vittime dei campi di sterminio nazisti. Si celebra il 27 gennaio, che segna la data – nel 1945 – della liberazione da parte delle truppe sovietiche del campo di concentramento di Auschwitz (odierna Oswiecim, in Polonia) e della scoperta dell’orrore della cosiddetta soluzione finale, escogitata da Hitler e dai suoi sodali per lo sterminio del popolo ebraico. Nei campi di concentramento, con buona pace di tutti i revisionismi, persero la vita, tra stenti e tormenti inenarrabili, circa sei milioni di persone, in gran parte ebrei ma anche zingari, omosessuali, testimoni di Geova, disabili, oppositori politici.
Si parlerà poi di Genocidio, Olocausto e infine di Shoah, secondo tempi e percezioni diversi, per descrivere ciò che non si può descrivere. Per costruire una memoria con cui condividere, sulla base dell’indicibile, il rifiuto del razzismo, dell’antisemitismo e rigettare l’eredità dell’ideologia fascista e di tutti i totalitarismi.
Sono passati venti anni dall’istituzione di questa giornata, e segnali di antisemitismo, anche sull’onda del razzismo contro profughi e migranti, si manifestano ormai ripetutamente con episodi di intolleranza riprovevoli quando non aberranti. Allarmanti, infatti, riemergono antiche accuse che fanno del popolo ebraico il capro espiatorio per i disagi e le fratture sociali che si riversano sulla nostra epoca. Ciò succede in tutto il mondo occidentale, ma per quel che riguarda l’Italia resta aperta la ferita di una mancata riflessione approfondita e oggettiva di ciò che è stato il genocidio perpetrato in quel folle periodo della storia europea. E così la memoria, nel ricordare le vittime della violenza nazista, vela d’ombra i volti e le azioni dei collaboratori italiani nelle persecuzioni antisemite – aperte con le leggi sulla razza del 1938 ed esplose dopo l’armistizio del ’43 – che videro la partecipazione attiva delle squadre fasciste nella ricerca di propri connazionali da tradurre nei campi di concentramento con deportazioni non di rado mediate dalle delazioni di amici e vicini. Non solo, un ruolo centrale nel dipanarsi dei tragici destini della Shoah lo svolse anche quella zona grigia sedimentata nell’indifferenza dei molti che si voltarono dall’altra parte, complici anch’essi di un clima che fu favorevole ad ogni atrocità.
Eppure, germi di umanità non mancarono neanche in quel tempo di barbarie, grazie alla solidarietà di persone che misero a repentaglio la loro vita pur di salvare loro simili dalla deportazione. Molti di loro oggi sono ricordati nel museo dello Yad Vashem a Gerusalemme in cui il giardino dei giusti verdeggia degli alberi a loro dedicati.

Oggi dobbiamo chiederci se questa memoria, a cui affidiamo ogni volta parole alate in solenni consessi, possa fare ancora da argine ai focolai di razzismo che in questi tempi di crisi, sull’onda dei movimenti migratori, vanno alimentandosi di nuova legna. Questa memoria sarà in grado di fermare quei fenomeni che ci ricordano i prodromi della follia che un secolo fa ha scaraventato l’Europa nel baratro? Vale sempre il monito di Primo Levi: “È avvenuto, quindi può accadere di nuovo: questo il nocciolo di quanto abbiamo da dire”.
La memoria di quel tempo con le sue atrocità rimane quindi, ancora oggi, un debito morale. Verso il popolo ebraico vittima di un oscuro e calcolato disegno di sterminio. Ma anche verso le giovani generazioni, affinché con la conoscenza del passato acquisiscano gli strumenti culturali necessari ad impedire il riaccadere di quei fatti. E, non ultimo, verso l’umanità intera chiamata ad evitare che, ancora una volta, l’odio si impossessi della sua anima e l’indifferenza ricacci il mondo nel buio della storia.
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