ACCOGLIERE E NARRARE LA FRAGILITÀ
Ogni anno l’Opera Don Orione in Italia organizza un convegno di studi per approfondire i temi cruciali della sua attività, esplorando l’incrocio evangelico tra le espressioni dello Spirito e la promozione della Vita di Qualità delle persone vulnerabili, i desamparados, come direbbe don Orione. Il IX Convegno apostolico delle opere di carità ha visto numerosi interventi di personalità di alto prestigio nel campo della medicina, bioetica, cura e accompagnamento delle persone fragili.
Riportiamo un estratto della relazione “La vita nelle nostre mani”, di Padre Maurizio Pietro Faggioni, OFM, medico endocrinologo, bioeticista e teologo morale.
Partiamo da una domanda: la vita è nostra? Qual è il nostro rapporto con la vita? Vivere è potere o responsabilità?
Da sempre l’uomo si chiede che cosa è umano: questa è la questione fondamentale. Anche la Lettera
Samaritanus bonus sulla cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita affronta questo tema, tratteggiando lo stile cristiano, che è quello del Buon Samaritano.
Il pensiero greco ha proposto un modello di uomo “vincente” che alimenta ancora oggi la “cultura dello scarto”, come l’ha definita Papa Francesco. Se lo standard è dato da ciò che posso fare, dalla prestazione e dalla qualità, cosa succede se non si raggiunge lo standard? Si è discriminati, scartati, si è meno “umani” e degni di vivere.
L’etica personalista, invece, afferma che la persona è sempre un bene, anche nella sua sofferenza: essere malati non è indegno, avere bisogno dell’altro non è indegno, abbandonare chi soffre lo è!
Ogni operatore sanitario deve compiere un passo importante, che è la sfida della vulnerabilità: vedere la fragilità come risorsa, come possibilità di crescita, a partire dalla propria fragilità.
La cura è la risposta alla fragilità, che è una condizione profondamente umana e che accomuna ogni uomo, sano o malato: quanto più una vita è fragile, tanto più esige la nostra cura. La radice della vita umana è la relazione e nella relazione di cura io affermo me prendendomi cura di te: quando un operatore in RSA si china su un anziano cura la sua stessa carne.
La fede spesso viene chiamata a dare risposte su temi scabrosi come quello del dolore innocente dei bambini, ma la fede non ha risposte. La fede può solo dire che alla morte ed alla sofferenza non c’è una spiegazione, ma una presenza: quella di un Dio che da invulnerabile si è fatto vulnerabile e vulnerato.
Spesso gli operatori, di fronte alla sofferenza ed alla morte, si sentono dire “Ma Dio dov’è?”. “Non so dov’è, ma mi ha mandato qui per stare con te”: ecco cosa può rispondere la fede. Se i miracoli di Gesù erano un segno del Regno che viene, oggi lo sono i nostri gesti di cura, che aiutano lo sguardo del sofferente a guardare oltre.
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