Apostolicità delle opere Quale modello per le opere socio-sanitarie orionine oggi
Illuminazione biblica: Lc 10,30-37
«Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall’altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n’ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all’albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno. Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?». Quegli rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ lo stesso».
Introduzione
Per creare il tono di questo incontro, riportiamo la conclusione del documento Progetto Orionino per le Opere di Carità, del giugno 2004, curato dal Consiglio generale, con l’apporto prezioso di tutti i segretariati locali e provinciali delle opere assistenziali. Il progetto, incoraggiato dall’ Assemblea generale di verifica, svoltasi in Polonia nel 1995, è frutto di varie tappe, che ha visto impegnati in particolare i Consiglieri generali don Angelo Mugnai, don José Carlos dos Santos e fratel Jorge David Silanes.
Ecco il testo: “Il nostro obiettivo finale, più che le opere (che cureremo sempre di più perché rispondano pienamente alle esigenze delle persone assistite ed alle norme), più che il lavoro e l’occupazione di quanti sono impegnati nel sociale, più che la persona bisognosa in quanto tale (anche se faremo ogni sforzo per accoglierla e aiutarla), è la forte testimonianza della carità, che attraverso il servizio alle membra più deboli, conduce a Gesù, perché ogni volta che abbiamo fatto del bene, lo abbiamo fatto a Lui (cf. Mt 25,40)”. [1]
Anche nell’introduzione si accenna allo scopo generale del progetto, che “è quello di promuovere la dignità dell’uomo, specie dell’uomo malato, disabile, disagiato, emarginato, bisognoso di assistenza, di cura e di educazione. Questa promozione vuole essere totale, mirata allo sviluppo umano integrale della persona cui si rivolge. Il progetto vuole in questo modo promuovere la cultura della vita fondata su basi teologiche secondo l’insegnamento di Don Orione. Infatti, ogni uomo è creato a immagine e somiglianza di Dio, è figlio di Dio. La promozione umana, dunque, se vuole essere completa, non può non tenere conto anche degli aspetti spirituali”. [2]
1. Un po’ di storia
a) X Capitolo Generale: “Essere il Fondatore oggi” (1992)
Il decimo Capitolo Generale – Ariccia (RM), 22 aprile / 16 maggio 1992 – aveva già affrontato il tema dell’apostolicità delle opere. Quel Capitolo aveva segnalato alcuni grandi orientamenti come risposta alle sfide che i Padri capitolari avevano individuato nella prima parte dei lavori. [3] Tra gli orientamenti fu sottolineata proprio la “conversione apostolica delle comunità e delle opere”. Ecco quanto fu detto su questo tema:
“Un altro orientamento suggerito alla nostra vita religiosa dalle tre ‘sfide’ principali emerse nella prima parte dello studio, è quello di convertire tutte le comunità e opere in senso apostolico, affinché non si limitino a vivere una dinamica interna di servizio settoriale (scuole, Piccolo Cottolengo, formazione, anziani, ecc.) ma tutte siano di testimonianza, di servizio di fede per il mondo secolarizzato. Le nostre opere devono raggiungere contemporaneamente i tre obiettivi della dinamica della carità orionina: 1. servire Cristo nei poveri (mistica), 2. servire i poveri in Cristo (diaconia), 3. servire i poveri di Cristo (evangelizzazione). Questo orientamento apostolico era tanto inculcato da Don Orione quando impostava e voleva le sue opere come nuovi pulpiti, da cui parlare di Dio e della Chiesa, quando insegnava: “opere di carità ci vogliono: esse sono la migliore apologia della fede cattolica” (cfr. Scritti 4, 280). Questa ‘conversione’ delle opere è necessaria per superare la frattura tra ‘spiritualità’ e ‘servizio’, tra ‘servizio’ e ‘apostolato’”. [4]
b) XI Capitolo Generale: “Religiosi e Laici orionini in missione nel terzo millennio” (1998)
In merito al tema che ci interessa, il Capitolo XI – Montebello della Battaglia (PV), 20 aprile / 18 maggio 1998 – invitava il governo provinciale (“unitamente ai confratelli della comunità locale”) in questi termini: “… proceda ad un accurato studio e alla formulazione del progetto apostolico di ciascuna comunità e opera, accompagnato da decisioni vincolanti. Nell’impostare la conduzione delle opere, sia dato rilievo alla complementarietà dei religiosi, alla maggiore partecipazione dei laici, alla promozione della spiritualità e alla relazione con la Chiesa particolare”. [5]
c) XII Capitolo Generale: “Cent’anni di vita: fedeltà creativa” (2004)
Il XII Capitolo Generale – Ariccia (RM), 21 giugno /16 luglio 2004 – è stato il Capitolo della canonizzazione di San Luigi Orione! Durante la speciale “Festa del Papa”, tenuta nell’aula Paolo VI il 15 maggio, il Santo Padre ha avuto parole di apprezzamento per il santo Fondatore e ha detto tra l’altro: “Cari fratelli e sorelle, don Orione intuì con chiarezza che la prima opera di giustizia è dare Cristo ai popoli perché ‘è la carità che tutti edifica, tutti unifica in Cristo e nella sua Chiesa’. Sta qui il segreto della santità, ma anche della pace che ardentemente auspichiamo per le famiglie, per i popoli”.
2. Apostolicità delle opere
Il XII Capitolo parla esplicitamente dell’apostolicità delle opere nella prima decisione, il cui titolo è “Apostolicità delle opere. Itinerario per nuove scelte nella missione”. Leggiamo:
“Nel cammino della fedeltà creativa, ogni Provincia promuove un processo di discernimento sulla finalità e gestione delle grandi opere istituzionali, specialmente in vista di interventi relativi alle nuove urgenze di povertà.
Questo discernimento è vissuto alla luce di alcuni criteri: ecclesialità, incarnazione nel territorio, testimonianza carismatica, valorizzazione del volontariato, condivisione del carisma e della gestione con i laici.
Completato il discernimento:
a) ogni comunità riconosce ai laici i loro ruoli professionali e assegna compiti di sempre maggiore responsabilità, fino a funzioni direttive (amministrativa, sanitaria, educativa, ecc);
b) i religiosi, pur mantenendo la rappresentanza legale, liberati dall’impegno della gestione diretta dell’opera, realizzano il loro specifico compito di animatori pastorali, curano la formazione dei laici e si dedicano alle nuove urgenze caritative di frontiera in collaborazione con i laici mantenendo il proprio ruolo pastorale.
Tenuti presenti questi cambiamenti delle opere tradizionali e questa apertura alle esigenze delle nuove povertà, occorre rinnovare la formazione dei religiosi, iniziale e permanente, curando maggiormente gli atteggiamenti di ascolto, di contatto diretto con le persone, di lavoro in équipe e di animazione dei laici”.[6]
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Questa prima decisione, insieme alla terza, alla sedicesima e alla diciannovesima, forma il cosid-detto “progetto apostolico”. Riportiamo di seguito le altre mozioni:
3a decisione: Formazione e coinvolgimento nella missione dei laici dipendenti
“Per conservare l’identità carismatica dell’opera è indispensabile il coinvolgimento-partecipa-zione interiore di tutti i laici che vi operano. Occorre sensibilizzare i laici alla missione dell’ opera e alla vita della Congregazione. Per questo si stabilisce:
- ogni opera, in collaborazione con il segretariato provinciale, programma un’azione formativa capillare, continua, diversificata per tutti i dipendenti, con il contributo del MLO, attraverso una rilettura laicale del carisma, con la pubblicazione di qualche sussidio, per esplicitare le motivazioni etico-religiose e lo stile di servizio orionino nell’opera;
- il segretariato provinciale o altro organismo predispone il Regolamento interno delle opere che abbia validità anche giuridica a complemento del contratto lavorativo. Ogni opera lo adotterà nel proprio progetto;
- va attuata una seria selezione del personale affinché abbia le basi umane e attitudinali per condividere i valori, le finalità e lo stile dell’opera in cui presterà lavoro;
- la comunità locale si fa carico anche della formazione del personale delle cooperative di servizio operanti nelle nostre case utilizzando gli strumenti contrattuali idonei”.
16a decisione: Relazione tra comunità e missione per una migliore qualità apostolica dell’ opera
“Il rapporto essenziale tra comunità orionina e opere si è fatto sempre più critico, a discapito sia della qualità della vita comunitaria e sia della qualità apostolica dell’opera. Ciò a motivo della complessità di gestione delle opere e della difficoltà di gran parte dei religiosi a condurle adeguatamente.
I Direttori provinciali, con modalità da definire nelle singole Province, sostengano e verifichino che i religiosi, comunitariamente, innanzitutto svolgano in modo efficace il ruolo di responsabili e garanti della finalità religiosa-apostolica dell’opera. Attuato questo primo indispensabile compito, come singoli, i religiosi possono svolgere nell’opera quei ruoli e servizi particolari di cui sono capaci: direttore dell’opera, amministratore, infermiere, insegnante, ecc.
Per realizzare questo obiettivo:
a) l’équipe provinciale e/o il Segretariato specifico, incontra le singole comunità per una verifica, diagnosi e indicazione di scelte per realizzare o potenziare la finalità pastorale dell’opera;
b) i “Segretariati competenti” o altri organismi adeguati, nonché le comunità locali, organizzano stages di formazione per i religiosi inseriti nell’attività, per il personale dipendente e per i responsabili di settore in ordine al raggiungimento della finalità apostolica dell’opera”.
19a Religiosi e laici nel consiglio d’opera e nel consiglio di casa
Visto che:
1 – in tutte le opere sono sorti gruppi di gestione, chiamati équipe di gestione; équipe di conduzione; consiglio di direzione, ecc.,
2 – i laici sono sempre più inseriti nelle nostre opere, anche in ruoli di responsabilità amministrativa o gestionale,
3 – alcuni religiosi gestiscono le opere in modo molto autonomo e indipendente (a volte per motivi individualistici, a volte per scarsità del personale),
4 – per la complessità delle opere, per l’età, alcuni religiosi a volte si sentono estranei in casa, soffocati e non favoriti apostolicamente dall’opera,
volendo:
1- rilanciare la vita religiosa della comunità che rimane titolare dell’opera,
2- rilanciare la qualità ed efficienza del servizio dell’opera con un maggiore coinvolgimento dei laici in forma organica,
si decide che:
1- in ogni casa il direttore costituisce il consiglio d’opera formato dal Consiglio della casa, da alcune suore se presenti, dai laici responsabili dell’opera, ed eventualmente da qualche laico del MLO. I membri del Consiglio d’opera, con compiti ben precisi, definiti da un regolamento, avranno ruolo stabile all’interno dell’opera e saranno anche garanzia della continuità del progetto;[7]
2 – nelle case che hanno varie attività ci devono essere i corrispettivi consigli d’opera con un coordinamento comunitario pastorale al quale partecipa di diritto il consiglio della casa, suore e laici rappresentanti dei vari consigli d’opera. Esso è legittimamente convocato dal Direttore;[8]
3 – le comunità che gestiscono opere non molto distanti tra loro, possono costituire un unico nucleo amministrativo;
4 – per un arricchimento carismatico e apostolico della comunità, alcuni laici, rappresentativi di importanti settori dell’opera, partecipano, in forma consultiva, alle riunioni del Consiglio di casa, quando vengono trattati i temi che si riferiscono alla gestione dell’opera”.
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3. Quale modello per le opere socio-sanitarie
La Provincia “SS. Apostoli Pietro e Paolo” è impegnata da anni in un progetto di rinnovamento, che coinvolge religiosi e laici. In questo cammino, a volte faticoso, siamo aiutati da don Gino Moro. Lo scorso anno sono stati pubblicati, a cura della Direzione Provinciale, i cosiddetti Modelli ideali di opere e servizi e della comunità che li realizza.
Nella Presentazione del Modello delle opere socio-sanitarie leggiamo: “ Il servizio pastorale che svolgiamo nei Piccolo Cottolengo, come pure nelle Case di Riposo e negli Ospedali, rappresenta una missione che è legatissima alla sensibilità di don Orione. Altre opere, come le case per orfani, le scuole per ragazzi poveri, i centri professionali per i figli del popolo dicono la sua missione di servire all’emancipazione e liberazione in Cristo dei figli del popolo e del popolo stesso, la sua proiezione sociale e storica. I Piccolo Cottolengo dicono il suo senso divino dell’uomo. Si rivela qui la originalità della mistica di don Orione: egli vedeva e sentiva Cristo nelle sue membra predilette. E si trattava di una realizzazione che non incideva di meno sulla società per la cui redenzione egli si sentiva chiamato, ma incideva più in profondità.
La fedeltà al suo scopo di redimere in Cristo l’uomo e la società attorno ai piccoli, ci aiuta a delineare i Piccolo Cottolengo – e per analogia le Case per Anziani e il servizio ai malati degli ospedali – come un vero e proprio “sacramento sociale”. [9]
Trattando in particolare delle Case di riposo, il documento afferma che “è il servizio rivolto a quegli anziani che, avendo perso ogni possibilità di restare nelle proprie famiglie, hanno bisogno di trovare una nuova casa che li accolga e che tenti di alleviare il disagio della loro situazione. Si tratta allora di integrarli il più possibile nella comunità umana e cristiana, creando le condizioni affinché si sentano utili a sé e agli altri – anche al di là delle mura della nuova casa – proprio per la loro situazione e nonostante essa. Sono comunità in cui la persona è al centro delle attenzioni e delle cure amorose degli operatori, dei volontari, degli amici, e occasionalmente anche delle famiglie e della parentela, coordinati da noi religiosi. Se il numero lo consente, la casa si articola come “comunità di comunità” accentuando il carattere familiare. Ogni piccolo gruppo, contestualmente alle presenze amiche, realizza quotidianamente alcune forme di fraternità e di preghiera, e mensilmente organizza un incontro comunitario di comunicazione, riflessione e orazione, celebrando l’amore di Dio che si piega su di noi, si fa presente e si rivela nei “piccoli” e negli “ultimi” e in chiunque prova la fatica e il peso della prova e della sofferenza per far vincere la forza dell’amore che salva.
L’ambiente sarà particolarmente curato, non solo dal punto di vista della pulizia e soprattutto dell’estetica: colori, fiori, musica, quadri. L’aspetto qualificante è però dato dalla presenza e dalla qualità delle relazioni delle persone. Il ritmo della giornata integrerà armoniosamente tempi per il riposo, per la cura del corpo, per opportune forme di preghiera, per incontri e forme adeguate di socializzazione, per giochi e relax, per la cultura. Sarà accurata soprattutto la organizzazione delle relazioni con l’esterno con possibili uscite e diverse forme di visita”.
È dunque lo stile di vita che deve generare i seguenti valori:
- Il primato della persona umana: si respira come valore culmine la persona, così com’è, le persone concrete, accolte e vissute come “i piccoli di Dio”, visti nella loro creaturalità disarmata e vulnerabile, le persone riflesso della pienezza di Dio nel loro “limite costitutivo” e che perciò attendono e si donano mutuamente attenzione, cura, sollecitudine, protezione e custodia.
- Spirito di famiglia: si sente che circola un bene sincero per le persone, immagine di Dio, in quanto aperte all’altro, all’incontro, alla socialità allargata; il tratto affettuoso e cordiale, la tendenza a chiamarsi per nome, la sollecitudine reciproca realizzano una situazione familiare. Predomina una socialità calda e personalizzata.
- La vita come dono dell’amore di Dio: vita accolta come grazia nell’esperienza di essere creati in ogni istante dall’amore di Dio; un amore gratuito che non sboccia perché trova le persone belle, ma le rende belle amandole, liberando in loro il “Deo gratias” per essere nati e per trovarsi in una comunità che ama e si rigenera nell’amore; vita come creazione continua che è la vita come dono di Dio Creatore.
- Tenerezza materna: si respira un ambiente di affetto per quanti fanno fatica a vivere e portano nella carne sofferenze di vario segno, come “perle” e “tesori sociali”; domina la tenerezza propria del cuore di un padre e di una madre; prevale un clima di compassione e di affetto, a immagine del cuore senza confini del nostro Fondatore.
- Lo spirito delle beatitudini: è questo che si respira nel privilegiare i piccoli e i minimi, come coloro nei quali la presenza del regno si fa più immediata e tangibile, come un “sacramento sociale”; la realtà da rinnovare è già prefigurata, in modo germinale nella loro condizione e nella loro passione: è solo nascosta nel loro dolore. Così si attualizza il vangelo i cui segreti sono nascosti ai dotti e ai sapienti e sono invece rivelate ai piccoli che lo sono e a quelli che lo divengono, come condizione per entrare nel regno dei cieli.
Questo stile genera, a sua volta, nuovi e fruttuosi rapporti con le realtà esterne, come la Chiesa particolare (locale), le famiglie, le istituzioni civili.
Parlando di modello, non si può fare a meno di accennare ai ruoli (ciò che si deve fare e le strutture organizzative necessarie per dare ordine, efficacia e organicità all’azione; sono le operazioni da compiere e che i destinatari si attendono) e alla organizzazione (assemblee, équipe di riflessione, coordinamento, équipe di relazione con l’esterno (cura, in forma sistematica, la relazione con gli ambienti e le istituzioni, sia religiose che civili, garantendo che l’opera sia sentita come propria dalla Chiesa locale e anche dalla comunità umana, e per favorire l’integrazione dell’attività pastorale specifica nel piano pastorale della Chiesa locale), animazione spirituale.
L’idea forza, cioè il cuore di quanto si desidera e si vuole realizzare, è quella di una comunità che evangelizza e redime il vivere sociale ed ecclesiale, ponendo al centro i piccoli e gli ultimi.
L’obiettivo ultimo è creare una comunità di piccoli e ultimi che come soggetto evangelizza e redime – per sé e per gli altri – l’esperienza del limite e del soffrire umano, fermento di una società mite e solidale.
LA CARITA’, IL MEDICO, L’INFERMIERE E L’OPERATORE SOCIO-SANITARIO
(ispirato alla prima lettera di s. Paolo ai Corinzi, cap. 13)
Se conoscessi tutta la terapia,
ma non ho amore, a nulla mi serve.
Se avessi un intuito infallibile sui malati,
se avessi la scienza di un primario,
ma non ho l’amore, sono niente.
Se dessi tutto il mio tempo al mio reparto,
anche i turni di riposo e le ferie,
ma non ho l’amore, non farei nulla.
L’amore è paziente:
quando i campanelli suonano,
i medici sbuffano, i pazienti importunano.
L’amore non è geloso:
quando l’altro collega è più considerato,
più atteso e tu non lo sei,
quando è nella grazia dei medici e tu non lo sei.
L’amore non si adira:
quando i nervi sono a pezzi,
tutto va a rovescio e i malati rispondono male.
L’amore tutto copre:
anche l’ingratitudine di un malato.
L’amore tutto spera:
anche se nessuno si accorge della tua fatica.
L’amore tutto sopporta:
anche il servizio più ripugnante
o il disprezzo di quelli che ti comandano.
Le corse di un infermiere, di un medico, di una fisioterapista avranno fine,
ma l’amore non avrà mai fine.
Tre cose sono grandi di un operatore socio-sanitario:
la resistenza, la competenza, l’amore.
Ma più grande di ogni cosa è sempre l’Amore.
[9] Progetto di rinnovamento, ciclostilato a cura della Provincia “SS. Apostoli Pietro e Paolo”, Roma 2004, p. 6.
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