Laici con Don Orione: quale missione?
Declaratio terminorum
La parola «laico» deriva dal greco laikós (‘popolare’), a sua volta da laós (‘popolo’). Lo Zingarelli, come aggettivo, specifica: 1. che non fa parte del clero, che non ricevuto gli ordini sacerdotali; 2. che si ispira al laicismo. Come sostantivo: 1. chi non fa parte del clero; 2. frate converso che non ha ricevuto gli ordini.
Quando si parla di «laici», «laicità» e «laicismo» bisogna stare attenti, perché la parola acquista una sua valenza a seconda del contesto in cui viene usata. Non tutti usano la stessa parola con lo stesso significato [1].
Su questi temi è tornata sovente la rivista dei Gesuiti, La Civiltà Cattolica, con i contributi sempre chiari e puntuali di p. Giandomenico Mucci [2]. Il cardinale Joseph Ratzinger ha detto che “esiste una laicità sana e giusta quando «lo Stato non impone una religione ma dà libero spazio alle religioni con una responsabilità verso la società civile e quindi permette a queste religioni di essere fattori nella costruzione della vita sociale. La laicità giusta è la libertà di religione” [3]. E Claudio Magris, noto opinionista, ha scritto sul Corriere della Sera [4]: “La laicità non si oppone alla religione e alla Chiesa, ma è la capacità di distinguere ciò che è oggetto di fede da ciò che è oggetto di dimostrazione razionale, ciò che compete allo Stato e ciò che compete alla Chiesa. Essa si contrappone al clericalismo intollerante come al laicismo intollerante. Che i cristianesimo e, in Paesi come l’Italia, il cattolicesimo, costituiscano un punto fondamentale di riferimento anche per i non credenti e i non praticanti è ovvio, perché la Scrittura è, insieme alla tragedia greca, il più grande sguardo gettato nell’abisso della vita ed è una linfa e radice essenziale dell’universalità umana e della nostra civiltà in particolare”.
E veniamo all’Italia in particolare. Scrive Giandomenico Mucci: “La stampa italiana offre non raramente l’esempio di come ogni intervento della gerarchia cattolica, perfino quelli semplicemente pastorali, possa essere stravolto dalla pregiudiziale politica. E un modo malizioso e sottile per emarginare la gerarchia e il messaggio cristiano all’interno della società. Il tentativo non è nuovo, sebbene si sia intensificato nel nostro tempo per frequenza e virulenza e sia diventato la bandiera del laicismo più acceso. L’Italia poi è quasi un caso a parte. Da noi, c’è da secoli una tradizione anticlericale, specialmente in campo culturale, che convive con un radicato sentimento cattolico. C’è stato inoltre un drammatico scontro culturale e politico con la gerarchia della Chiesa quando le genti italiane si sono unite nello Stato nazionale. L’anticlericalismo culturale e la creazione dello Stato in uno storico conflitto con il papato e la Chiesa sono due fattori che, oggi ancora, contribuiscono a spiegare, in Italia, lo scarso interesse per l’esperienza e la cultura cattolica, la percezione della Chiesa come fatto politico e l’interpretazione degli atti della gerarchia come atti di un organismo sostanzialmente politico. La Chiesa è vista allora non nella sua volontà evangelizzatrice ma come quella realtà che parla sì evangelicamente ma lavora per estendere il suo potere, la sua ingerenza, sullo Stato laico. […]. Sotto il pensiero laicista agisce il principio-cardine di tutta la cultura moderna e contemporanea. È il soggetto individuale che deve giudicare del valore della religione, di ogni valore, indipendentemente da qualsiasi istituzione. Quella che nella Chiesa è la verità, ossia l’oggettività dei contenuti della fede, è sottoposta, nella cultura dominante, al primato del soggetto, e lui soltanto decide ciò che è vero, buono e giusto per lui. Il relativismo contiene l’idea della relazione con l’io. Allora non si stima più la verità, ma l’autenticità, intesa come fedeltà a se stessi e alla propria esperienza e ripudio della verità esterna al soggetto. La modernità occidentale è il trionfo dell’autonomia del soggetto individuale sovrano e il rifiuto della trascendenza e dell’eteronomia morale” [5].
Uno dei frutti della virulenza e intolleranza di cui sopra è senz’altro la mancata visita del Papa all’Università “La Sapienza”. Nell’Editoriale del 2 febbraio 2008, La Civiltà Cattolica ha commentato così questo fatto increscioso e «da vergogna»: “La notizia ha fatto il giro del mondo, poiché è la prima volta nei 60 anni di vigenza della Costituzione repubblicana che, di fatto, viene «impedito» al Vescovo di Roma di incontrare i fedeli a lui affidati. Sorprendente, poi, in senso negativo — com’è stato notato dalla stragrande maggioranza degli osservatori di ogni tendenza — è il fatto che una tale situazione avvenga e sia tollerata in una Università, luogo per eccellenza dedicato al libero confronto delle idee, al dialogo rispettoso delle contrapposte posizioni e alla ricerca incessante della verità. Proprio perciò il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha subito inviato al Pontefice una lettera nella quale esprime «il suo sincero, vivo rammarico, considerando inammissibili manifestazioni di intolleranza e preannunci offensivi che hanno determinato un clima incompatibile con le ragioni di un libero e sereno confronto».
L’opposizione fondamentalista si è appellata soprattutto alla «laicità» dell’Università, che si opporrebbe alla possibilità di concedere la parola a un esponente ecclesiastico come il Sommo Pontefice. Ma «laico non vuol dire affatto — ha scritto Claudio Magris sul Corriere della Sera del 20 gennaio 2008 —, come ignorantemente si ripete, l’opposto di credente (o di cattolico) e non indica, di per sé, né un credente né un ateo né un agnostico. Laicità non è un contenuto filosofico, bensì una forma mentis; è essenzialmente la capacità di distinguere ciò che è dimostrabile razionalmente da ciò che è invece oggetto di fede, a prescindere dall’adesione o meno a tale fede; di distinguere le sfere e gli ambiti delle diverse competenze, in primo luogo quelle della Chiesa e dello Stato. La laicità non si identifica con alcun credo, con alcuna filosofia o ideologia, ma è l’attitudine ad articolare il proprio pensiero (ateo, religioso, idealista, marxista) secondo princìpi logici che non possono essere condizionati, nella coerenza del loro procedere, da nessuna fede, da nessun pathos del cuore, perché in tal caso si cade in un pasticcio, sempre oscurantista. La cultura — anche cattolica — se è tale è sempre laica, così come la logica — di san Tommaso o di un pensatore ateo — non può non affidarsi a criteri di razionalità».
«Laicità — ha aggiunto Magris — significa tolleranza, dubbio rivolto anche alle proprie certezze, capacità di credere fortemente in alcuni valori sapendo che ne esistono altri, pur essi rispettabili, di non confondere il pensiero e l’autentico sentimento con la convinzione fanatica e con le viscerali reazioni emotive; di ridere e sorridere anche di ciò che si ama e si continua ad amare; di essere liberi dall’idolatria e dalla dissacrazione, entrambe servili e coatte. Il fondamentalismo intollerante può essere clericale (come lo è stato tante volte […]) o faziosamente laicista, altrettanto antilaico».
Benedetto XVI poi, nella parte conclusiva del suo discorso «non letto» all’Università, ricorda che il Papa nell’Università «non deve cercare di imporre ad altri in modo autoritario la fede, che può essere solamente donata in libertà. […] è suo compito mantenere desta la sensibilità per la verità; invitare sempre di nuovo la ragione a mettersi alla ricerca del vero, del bene, di Dio e, su questo cammino, sollecitarla a scorgere le utili luci sorte lungo la storia della fede cristiana».
Purtroppo riemerge dalle ceneri un «fuocherello» mai sopito in Italia, che ogni giorno sembra ampliarsi: l’anticlericalismo e il laicismo fondamentalista. Scrive Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera del 18 gennaio scorso: «C’è l’idea che in una democrazia che vuole essere tale la religione debba essere esclusa da qualsiasi spazio pubblico; che esistono orientamenti culturali e ideali — e quelli religiosi sarebbero i primi tra questi — i quali sono radicalmente incompatibili vuoi con la società democratica e con il suo ethos pubblico, vuoi più in generale con una moderna visione del mondo. E che quindi nell’università possa trovare posto e avere corso esclusivamente quello che si autodefinisce compiaciutamente il “libero pensiero”. Idea inquietante che mette inevitabilmente capo a una sorta di obbligatorio laicismo di Stato, di pubblica preferenza sociale accordata all’irreligiosità: tutta roba in cui l’autentica tradizione liberale si è sempre ben guardata dal riconoscersi, ravvisandovi giustamente una più che probabile anticamera del dispotismo».
Anche il direttore di un quotidiano «laico» come Repubblica, Ezio Mauro, ha scritto che l’esito della vicenda della «Sapienza» è un «risultato che sa di censura, di rifiuto del dialogo e del confronto, è inaccettabile per un Paese democratico e per tutti coloro che credono nella libertà delle idee e della loro espressione. E tanto più inaccettabile che avvenga in una Università, anzi nella più importante Università pubblica d’Italia, il luogo della ricerca, del confronto culturale e del sapere, un luogo che di per sé non deve avere barriere né pregiudizi, visto che non predica la Verità ma la scienza e la conoscenza. E come se la Sapienza rinunciasse alla sua missione e ai suoi doveri, chiudendosi in un rifiuto che è insieme un gesto di intolleranza e di paura. […] Ma è ridicolo chiamare in causa la scienza, come se potesse risultare coartata, offesa o limitata dalle parole del Pontefice, che è anche uno dei grandi intellettuali europei della nostra epoca. Ed è improprio e pretestuoso nascondersi dietro a Galileo, come se i torti antichi della Chiesa nel confronto e nello scontro con la scienza si dovessero pagare oggi, proprio sulla porta d’ingresso della Sapienza, senza tener conto del cammino fatto in tanti anni, e delle parole ancora recenti di papa Wojtyla. […] Non c’è alcun dubbio. Nell’Italia di argilla del 2008, non è nel nome di un’idea forte che si è pensato di vietare al Papa la Sapienza, ma di un’idea malata. Una malattia che ha già fatto due vittime: la libertà di espressione, naturalmente, e la laicità». Infatti l’episodio della «Sapienza» ha squalificato la laicità autentica, facendola apparire intollerante e incapace di dialogare.
In proposito, non si può tacere una considerazione sulla democrazia in vigore in Italia: una «considerazione inquietante» — è stato detto — giacché la nostra democrazia ha rivelato di non essere in grado di sopportare neppure una piccola frazione di conflitto così ridotta, e si è ceduto agli «intolleranti», che sembrano cantare vittoria, mentre invece la figura del Papa si staglia all’orizzonte con una immagine degna del Pastore, teologo e grande intellettuale. Il pericolo oggi è quello di innalzare steccati, da una parte e dall’altra, anziché liberamente e criticamente confrontarsi.
Ma la strada da percorrere non è quella degli steccati, che vanno sempre abbattuti. L’atteggiamento correttissimo e aperto al dialogo e al confronto con tutti di Benedetto XVI invita a superare «l’incidente» e a riprendere il confronto, esorcizzando ogni tipo di scontro, sia fisico sia intellettuale, per rispondere a quel grande bisogno dell’essere umano costituito dalla necessità di conoscenza e dalla perenne ricerca della Verità” [6].
I laici nella Chiesa
Il Concilio Vaticano II non è nato come un fungo, all’improvviso; già alla fine dell’800 esistevano fermenti nel campo liturgico, patristico, teologico, biblico ed ecclesiologico. Lo stesso Don Orione ha respirato l’aria del grande pontificato di Leone XIII; basti pensare alla Rerum novarum (15 maggio 1891 – questione operaia) e alla Providentissimus Deus (18 novembre 1893 – questioni bibliche).
I movimenti biblici e liturgici, unitamente alle riflessioni teologiche degli inizi di questo secolo, hanno generato l’evento ecclesiale del secolo: il Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965). Non è un caso che ad esso si ispiri continuamente il magistero dell’attuale Pontefice. L’ecclesiologia di comunione del Concilio è un po’ il faro di tutta la riflessione teologica dei nostri tempi: “L’ecclesiologia di comunione – si afferma nel Sinodo dei vescovi del 1987 – è l’idea centrale e fondamentale nei documenti del Concilio” [7]. La Christifideles laici – esortazione apostolica del 1988 – ribadisce che “la comunione dei cristiani con Gesù ha quale modello, fonte e meta la comunione stessa del Figlio con il Padre nel dono dello Spirito Santo (…). È questa l’idea centrale che di se stessa la Chiesa ha riproposto nel Concilio Vaticano II” [8].
Il Concilio, dunque, ha sviluppato il tema dei laici nella Chiesa, dedicando ad essi il quarto capitolo della Costituzione dogmatica Lumen gentium.
La Lumen gentium è stata promulgata il 21 novembre 1964, nella terza sessione conciliare, con 2151 voti favorevoli, e 5 contrari. La Costituzione consta di 8 capitoli, suddivisi in 69 articoli:
cap. I: Il mistero della Chiesa [1-8]
cap. II: Il popolo di Dio [9-17]
cap. III: La costituzione gerarchica della Chiesa e in particolare l’episcopato [18-29]
cap. IV: I laici [30-38]
cap. V: Universale vocazione alla santità della Chiesa [39-42]
cap. VI: I religiosi [43-47]
cap. VII: Indole escatologica della Chiesa e sua unione con la Chiesa celeste [48-51]
cap. VIII: La Beata Maria Vergine Madre di Dio nel mistero di Cristo e della Chiesa [52-69].
È un disegno stupendo nella sua armonia! I capitoli vanno «a braccetto» a due a due:
- I primi due capitoli sono incentrati sull’idea della Chiesa come mistero-sacramento. Il 1° capitolo ci dà soprattutto la res, il contenuto; il 2° ci dà piuttosto il signum, la veste. La ricchezza che la Chiesa porta con sé nel mondo è la Trinità, cioè la vita di Dio, la consacrazione universale di tutto e la ricapitolazione di tutte le cose in Cristo. Questo è essenzialmente il suo mistero. E il sacramento che deve portare e trasmettere questa ricchezza è il “popolo di Dio”. In questo senso la Chiesa è vista come sacramento rispetto al mondo, mediatrice fra le ricchezze divine che sono nel mistero della Trinità e di Cristo e il mondo che deve essere consacrato, divinizzato.
- Il terzo e il quarto ci danno la struttura della Chiesa, sottolineano cioè i gradi di discesa di questo sacramento nel mondo. La struttura del sacramento, che è la Chiesa, è data dalla Gerarchia e dal Laicato. La Gerarchia rappresenta il momento primo del sacramento, quando cioè i doni, la ricchezza di Dio vengono dati e inseriti nel popolo cristiano. Il Laicato costituisce il momento in cui questa ricchezza viene data al mondo, in cui viene attuato il fermento cristiano nell’incontro con il mondo. C’è una progressiva descensio Dei ad mundum, quasi un prolungamento dell’Incarnazione.
- Il quinto e sesto offrono piuttosto il motivo del reditus o ritorno, o riascesa della Chiesa e del mondo verso Dio: la chiamata alla santità. Qui si tocca la causa finale della Chiesa: la santità, intesa nel senso più vasto: non solo come santificazione delle persone, ma anche co-me consacrazione universale della realtà. I religiosi sono, in questa processione della Chiesa, da Dio a Dio, come i portabandiera, il segno della vocazione della Chiesa. Non essi solo sono chiamati alla santità, bensì hanno il compito di manifestare al mondo che tutti sono chiamati alla santità, e cioè che tutti possono e devono tendere alla santità.
- Infine, il settimo e ottavo considerano lo stadio finale della Chiesa, l’escatologia. I Santi e soprattutto Maria SS.ma sono considerati come realizzazione singolarissima della Chiesa. Maria è l’ideale perfetto della Chiesa: l’unica.
In sintesi: la Lumen gentium allora non ci dà una definizione, ma una descrizione esistenziale, o meglio una descrizione storico-dinamica della Chiesa. Come il Vangelo ci dà di Cristo una descrizione storica (“sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; lascio il mondo e torno al Padre” – Gv 16,28) così questa Costituzione ci disegna negli otto capitoli l’arco storico della Chiesa, o meglio l’arco storico che congiunge l’eternità con il tempo. Da Dio-Trinità a Dio-Trinità.
Il 1° capitolo aggancia la Chiesa al mistero della Trinità; poi si discende attraverso Cristo, al popolo di Dio (gerarchia, laici nel mondo); poi si torna alla vita del Cielo. L’ultimo capitolo termina con un inno sacro, con un omaggio alla Trinità. Dalla Trinità alla Trinità, dal Cielo al Cielo, dall’eternità all’eternità attraverso le vicende della storia, il popolo pellegrinante.
I laici nella famiglia di Don Orione
Nella Carta di comunione del Movimento Laicale Orionino, c’è una “Nota storica” proprio per quanto riguarda il Fondatore in merito al coinvolgimento dei laici nella missione della Chiesa. Ecco una parte:
- Il coinvolgimento dei laici nello spirito e nella vita di Don Orione e della sua Piccola Opera della Divina Provvidenza, oggi divenuto Movimento Laicale Orionino, ha radici storiche sicure e risponde ad una precisa sensibilità e volontà del Fondatore.
- È da ricordare come il giovane chierico Orione, nel 1890, già era inserito in due associazioni laicali, la conferenza di S. Vincenzo [9] e la Società di Mutuo Soccorso “San Marziano”.
- Il suo primo collegetto di “San Bernardino” (1893) fu fondato come “Convitto Paterno”, perché iniziativa di una associazione di “Padri”, e fu gestito da Don Orione con l’aiuto di laici volenterosi.
- Ancora agli inizi della fondazione della Piccola Opera, nel 1899, a Torino, Don Orione lanciò il progetto della prima Associazione femminile: “Attorno ai nostri Istituti sorgano le Dame della Divina Provvidenza, un’associazione grande dove tutte le anime si trovino unite nel campo della carità e in uno stesso pensiero di abnegazione e di sacrificio”.
- È sorprendente venire a sapere che Don Orione, già nelle Costituzioni manoscritte del 1904, previde una forma di consacrazione anche per i laici “che anelano con tutto l’animo di seguire la perfezione, e sarebbero disposti di fare i voti, se fosse loro dato”. Appena la Chiesa, nel 1947, riconobbe canonicamente gli Istituti Secolari, fu dovere e gioia dare seguito a quel desiderio del Padre con l’avvio di quello che diverrà l’Istituto Secolare Orionino.
- Don Orione aveva una visione degli Ex allievi “come apostoli”; molti di essi, inseriti nella vita civile, continuavano ad essere, da laici, parte viva della Famiglia orionina. Attraverso la corrispondenza personale e la costituzione in Associazione (1934) coltivò il loro permanente coinvolgimento nella vita e negli ideali della Piccola Opera.
- È nota la capacità del Fondatore nel curare gli Amici, nei quali vedeva dei veri discepoli e collaboratori. Nella consuetudine della relazione, li guidava, formava e valorizzava nelle opere di bene, sviluppando in loro una coscienza apostolica. Li coinvolgeva direttamente, a volte anche stabilmente, nelle sue attività di Congregazione e li incoraggiava in quelle proprie del loro stato e professione. Si costituirono in Associazione nel 1940.
- A queste iniziative del Fondatore con i laici, fecero seguito, dopo la sua morte (12 marzo 1940), quelle, numerosissime, dei suoi discepoli, favorite anche dal progressivo mutare delle condizioni sociali e del sentire ecclesiale.
Il rapporto dei laici con Don Orione rappresenta una delle pagine più belle della sua genialità di Padre e Fondatore. Ma le grandi intuizioni hanno bisogno di tempo, e così – grazie alla Lumen gentium e grazie alle direttive e iniziative dei Superiori Generali siamo arrivati ai nostri giorni.
Il X Capitolo generale – Ariccia [RM] 22 aprile-16 maggio 1992 – aveva già trattato del tema dei laici [10].
L’XI Capitolo generale – Montebello della Battaglia [PV] 20 aprile-8 maggio 1998 – li ha avuti come protagonisti [11].
Il XII Capitolo Generale – Ariccia [RM] dal 21 giugno al 16 luglio 2004 – ha approfondito il tema, soprattutto in relazione al cosiddetto Consiglio d’Opera (si vedano in particolare le decisioni 1.3.16.19) e alla comunione carismatica (vedi decisione 2).
Punto di riferimento rimane la Lettera programmatica del 18 dicembre 1995 di Don Roberto Simionato, che ha dato il via al Movimento Laicale Orionino. Primo frutto rilevante è stato il primo Congresso Internazionale di Rocca di Papa (9-12 ottobre 1997). Secondo grande e importante frutto è stata la Carta di comunione del MLO, approvata durante il secondo Congresso Internazionale del MLO (Claypole [Buenos Aires] 7-13 ottobre 2002). Da menzionare ancora la recente settimana di formazione dei leaders del MLO, che si è tenuta a Montebello della Battaglia (PV), prima della festa della Madonna della Guardia; e ancora, il Meeting Internazionale del MLO (Tortona, 30-31 agosto): Sui passi di Don Orione. Laici orionini per una Chiesa in movimento.
Conclusione
I confratelli e le consorelle, gli amici, gli ex allievi e i benefattori, che hanno conosciuto Don Orione sono sempre più pochi. È la legge della vita! Il Fondatore, però, ha fissato altre tende; il suo cuore oggi “batte” in tanti altri Paesi. La cerchia, quindi, non si restringe, ma si allarga sempre più. E sempre più si prende coscienza che quel dono non si è fermato a Pontecurone, ma si incarna in nuove culture, presso nuovi popoli, nel cuore di tanta gente. Ed ecco il miracolo: il carisma si arricchisce di nuovi interpreti, che danno al carisma stesso uno spessore mai immaginato. Il religioso e il laico che non hanno conosciuto il Padre Fondatore, con la grazia dello Spirito, lo rende presente in modo nuovo, sviluppando tutte le potenzialità del carisma stesso.
Il MLO non vive staccato dalla realtà ecclesiale; non fa vita a sé. È pienamente inserito nella ecclesiologia di comunione sottolineata dal Vaticano II, con lo scopo ultimo – unico per tutti i cristiani (e per tutti i movimenti!) – di proclamare che “Gesù Cristo è il Signore” (Fil 2,11). Potranno cambiare le modalità, potranno cambiare i percorsi di catechesi, potranno mutare i linguaggi, ma l’ unica preoccupazione del discepolo, ovunque si trovi e qualsiasi cosa faccia, sarà sempre quella di proclamare la buona notizia: “Il Redentore dell’uomo, Gesù Cristo, è centro del cosmo e della storia”[12]. Questa proclamazione per noi avverrà con uno «spirito» particolare: quello di Don Orione. Accade quello stesso fenomeno che si registra per i Vangeli: questi sono quattro, ma il Vangelo è uno solo (Gesù è la buona notizia!); i movimenti nella Chiesa sono tanti, ma la missione è una: gridare al mondo con la parola e con la vita che solo in Gesù c’è salvezza![13]. Il Signore ha voluto, nella sua Provvidenza, farci incontrare Don Orione, ed è con Don Orione che «tradurremo» la nostra missionarietà: sia che si tratti di missio ad intra, sia che si tratti di missio ad gentes. “Guai a me se non predicassi il Vangelo”, scriveva San Paolo alla chiesa di Corinto (1 Cor 9,16). “Guai ad un orionino – potremmo parafrasare – che non ha a cuore che il Signore Gesù sia conosciuto e amato”. Don Orione, assetato di anime, continua la sua opera di evangelizzazione anche con i suoi figli laici.
don Achille Morabito
[13] Cfr. Atti 4,12.
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