Primo Maggio: Recuperare il senso del lavoro, oltre le ragioni economiche.
La celebrazione del Primo Maggio è per la Chiesa occasione di riaffermare il proprio sostegno al mondo del lavoro visto come spazio di vita che segna la dignità della persona. Lavoro che si va progressivamente marginalizzando scalzato da nuove logiche di mercato sempre più disumanizzanti. Il messaggio dei vescovi italiani quest’anno, segnato oltretutto dall’emergenza pandemica, in vista di una ripresa dell’economia richiama tutti ad attivare reti di solidarietà e di partecipazione alla vita comune per una ripresa che non escluda nessuno.
Quest’anno, che il papa ha dedicato alla figura di san Giuseppe, la riflessione risente inevitabilmente del momento che stiamo vivendo caratterizzato dalle pesanti conseguenze che in termini di morte e di sofferenza la pandemia ci sta lasciando. Non solo. A causa sua abbiamo sperimentato le carenze del nostro sistema sanitario e i limiti insiti nelle strutture economiche e sociali che governano la nostra vita, con ricadute profonde sul piano culturale, psicologico e spirituale.
Per l’occasione i Vescovi italiani hanno scritto un messaggio incentrato sul tema: “Al popolo stava a cuore il lavoro. Abitare una nuova stagione economico-sociale”.
Nel testo si sottolinea come l’emergenza coronavirus abbia messo ancor più in difficoltà disoccupati, inattivi e lavoratori irregolari, “coinvolti nel lavoro nero che accentua una condizione disumana di sfruttamento”, e ricorda che con il venir meno del blocco dei licenziamenti la situazione si farà ulteriormente drammatica.
Il messaggio, tuttavia, coglie un segno di speranza nella ripresa delle attività che si avverte con il regredire dell’emergenza, ed auspica che la società sappia attivare quella rete di solidarietà che rappresenta il “vaccino sociale” della pandemia. Infatti, ricorda il testo che questa emergenza ci ha anche fatto sperimentare che siamo tutti legati ed interdipendenti: da qui l’invito a impegnarci per il bene comune, ricordando le parole pronunciate dal Papa nell’omelia di Pentecoste dello scorso anno, il 31 maggio, “Peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendoci in noi stessi”.
L’occasione che si pone davanti provoca le coscienze ad un risveglio e le induce a imboccare altre strade operando un cambiamento di mentalità che si rifaccia a nuove logiche nel ripensare i modelli di sviluppo, in vista di un futuro più umano. Un futuro in cui si riconsegni dignità alla persona ponendo attenzione alle sue esigenze, e si riporti al centro il lavoro recuperandone il valore che, al di là delle ragioni produttive ed economiche, torni a essere riconosciuto nella sua essenza che è anche spirituale e culturale.
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